venerdì 9 maggio 2008

IN RICORDO DEL COMPAGNO PEPPINO IMPASTATO MENTRE AL GOVERNO CI SONO GLI AMICI DEGLI AMICI

Dal volume di Stampa Alternativa, la prefazione scritta da Vauro. Che dice: 'Poteva essere una commemorazione ma non può che essere un ricordo'
Ho provato ad immaginare che quella per Peppino, a distanza di trent’anni dal suo assassinio potesse essere una “commemorazione”. Invece non può che essere un ricordo. Non solo perché Peppino certamente non avrebbe gradito di essere considerato un eroe, da commemorare, appunto. Ma anche perché le “commemorazioni” si fanno per i vincitori e la battaglia contro la mafia non è stata vinta. Anzi, in questi trent’anni, nonostante molti altri siano caduti nel tentativo di contrastarla, quella battaglia non si è mai voluta combattere. Non hanno voluto e non vogliono combatterla i potenti della finanza e della politica. Così chi è morto come Peppino è morto solo, sia che indossasse una sciarpa rossa, sia un’uniforme o una toga. E se per i fedeli servitori dello Stato caduti ogni tanto si fa qualche cerimonia ufficiale in pompa magna è solo per nascondere le complicità dietro l’ipocrisia di uno sdegno inesistente. Per gente come Peppino poi non vale la pena di fare nemmeno quello: perché lui all’impegno dello Stato contro la mafia non ci aveva mai creduto. Credeva al suo d’impegno, a quello di tutti coloro che come lui erano e sono convinti che la lotta alla mafia non può non partire che dal rifiuto radicale dei suoi “valori”: il profitto, la violenza, il potere per il potere, l’ordine del più forte, l’opportunismo, la cultura dei favori al posto di quella dei diritti.Ma questi sono gli stessi “valori” sui quali si fonda e si muove gran parte della politica: di quella politica che dovrebbe dar forma allo Stato ed infondere fiducia nelle sue istituzioni. È qui, penso, il nodo della connivenza. Una connivenza che anche quando non è diretta complicità (e Dio sa in quanti casi lo sia) è condivisione oggettiva della cultura mafiosa, la alimenta e se ne alimenta. Dicono che è finita l’era delle ideologie, ma quello che hanno messo al bando sono le idee: l’idea del diritto contrapposta a quella del privilegio, della solidarietà contro l’egoismo sociale, della partecipazione invece della delega, del valore del lavoro contro quello della speculazione, dell’uomo rispetto al profitto. La voce di Peppino queste cose diceva, e le diceva sorridendo, come chi sa di aver ragione. Trent’anni fa hanno spento quella voce, ma non quel sorriso. Quel sorriso lo troviamo oggi sul volto di tanti ragazzi del sud e non solo che, nonostante tutto, ancora credono che si possa cambiare e che cambiano loro per primi: non limitandosi alla denuncia ma praticando in mille modi diversi, ricchi di fantasia quanto concreti, quella solidarietà sociale che è uno dei più forti antidoti al veleno mafioso. Allora, anche chi come me ha oggi all’incirca l’età che avrebbe avuto Peppino se non gli fosse stata strappata la vita, non ha diritto alla disillusione, al cinismo di chi ha già visto come va a finire.Non ha diritto di lasciare soli quei ragazzi.Non ha diritto di lasciare solo Peppino.
VAURO